venerdì 28 dicembre 2012

Due parole sul mio amico

Il mio amico.
Su questo blog ho parlato parecchio di lui.
L'ho chiamato Watanabe.
Come il protagonista di Norwegian Wood di Murakami.

Interessante notare che io mi sono chiamata Kumiko.
Kumiko è un personaggio di un altro romanzo di Murakami.
Kumiko e Watanabe non si incontrano mai.

Bene, il discorso potrebbe anche finire qui.
Mi sembra parecchio esaustivo.

Ma vabbè.

Il mio amico e io non abbiamo una storia.
Nonostante io spesso l'abbia sognata.
Lui non lo so. Pare di no.
Quando gli ho espresso le mie paranoie mi ha preso per pazza.
E abbiamo chiuso i rapporti per qualche settimana.
Con due spritz abbiamo riportato tutto alla normalità e siamo ripartiti da dove eravamo rimasti.
Non ne abbiamo più parlato.

Ma c'è qualcosa di sospeso tra noi.
C'è sempre stato.
Anche se lui non vuole prenderne atto, anche se io non me ne faccio una ragione.
C'è qualcosa di evidente agli occhi di tutti.
Qualcosa che quando la gente ci vede ci chiede se siamo fidanzati.
O peggio, perchè non lo siamo.
C'è una complicità da coppia.
E c'è tensione.
Una tensione che, al contrario di quella di Jovanotti, è tutt'altro che evolutiva.
Tensione sessuale, direi.

Nonostante questo, o forse grazie a questo, la nostra amicizia prosegue imperterrita e mantiene sempre il primato nei nostri cuori.

Lui è il mio migliore amico. Quella persona che nessuno mai potrà sostituire. Un pezzo del mio cervello che chissà come è uscito fuori da me. Mezzo cervello e un quarto di cuore. La mia coscienza e la mia inesauribile fonte di forza e consolazione.

Io per lui sono la sua amica. Non c'è nulla che non condivide con me. E si fida. Dice che solo con me riesce ad essere liberamente ciò che lui è. È un personaggio complicato lui. Tende ad essere sempre quello che la gente si aspetta da lui. Con me non fa questo giochetto.

C'è un bell'equilibrio tra noi.
Instabile.
Come tutti quegli equilibri che mi vedono protagonista.
Ma c'è.

Ora il mio fiuto annusa un ostacolo a questo equilibrio.
E mi viene il panico.

È un uomo quello che potrebbe incasinare l'equilibrio.
Un suo amico d'infanzia che, lasciatosi dalla ragazza, sembra avermi incluso nei suoi orizzonti, con discreti interessi e manifestazioni piuttosto chiare.

Fin qui nessun problema.

Il problema è che io sono attratta da quest'uomo.
E mi piacerebbe buttarmi a capofitto in questa storia.
Provare. Vedere com'è.
Perdermi nell'ebrezza di qualcosa che nasce e non si sa che direzione prenderà.
Senza sentirmi costretta in uno schema.
Libera di sperimentare.

Ma ho paura di perdere capra e cavoli.
Non so se rendo l'idea.

La mia immaginazione in questo momento invece di fermarsi su ipotetiche scene di sesso con l'Antonio della situazione corre ad immaginare la situazione successiva:
io che racconto al mio amico che ho fatto sesso con il suo amico.
Io che mi imbarazzo e mi sento male a raccontargli la mia versione di una storia che probabilmente avrà già sentito in un altra versione, o di cui sicuramente sentirà una versione alternativa.
Triangolazione, direi.
La peggiore delle situazioni umane possibili.

Oggi ho preso coraggio e ho affrontato il discorso con il mio amico.
Amico, hai qualcosa da dirmi?
Ride lui.
Dice che non ci vede niente di male in un ipotetico intrallazzo del genere.
Salvo poi mostrarmi una certa alterazione nel non verbale.

Maledetto.
Cogli la sfida, cazzo.
Ti sto abbandonando per buttarmi tra le braccia del tuo amico.

Ti ho avvisato.
Ti ho palesato le mie intenzioni.

Adesso fai tu.
Fatti i tuoi calcoli.
Se mi vuoi per te, prendimi.
Interamente.

Io adesso penso a me.
Io adesso faccio il mio, alla faccia tua.

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